La Corte di Cassazione, Sez. V pen. sentenza n. 13538/2015 afferma che “nei confronti di un soggetto incapace o anche solo parzialmente capace, ben può verificarsi una situazione di costrizione nel momento in cui l’agente, proprio approfittando dello stato di soggezione psicologica o di incapacità/incoscienza della vittima, assuma – di sua iniziativa, senza autorizzazione alcuna e senza rispettare alcun previsto protocollo operativo – iniziative direttamente incidenti nella sfera fisica, ovvero psichica del soggetto passivo“.
Corte di Cassazione, Sez. QUINTA PENALE, Sentenza n.13538 del 30/03/2015, udienza del 10/02/2015, Presidente LOMBARDI ALFREDO MARIA Relatore FUMO MAURIZIO
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
XX (omissis)
avverso la sentenza n. 2169/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del 08/10/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/02/2015
… omissis..
RITENUTO IN FATTO
1.XX è imputata di violenza privata in danno del minore – affetto da autismo – YY in quanto, dopo aver suggerito alla madre del predetto di tagliargli i capelli in modo da facilitarne l’asciugatura, lo costringeva a subire un inadeguato taglio di capelli, da lei stessa effettuato con un paio di forbici; con l’aggravante di aver commesso il fatto profittando dell’handicap del minore, tale da ostacolarne la difesa privata e di aver commesso il fatto con abuso di autorità nella sua qualità di maestra di sostegno.
In primo grado, con riconoscimento di attenuanti generiche equivalenti, l’imputata fu condannata alla pena (sospesa) di mesi quattro di reclusione.
Fu concesso anche il beneficio della non menzione.
La XX fu inoltre condannata al risarcimento dei danni, con provvisionale.
1.1. La corte d’appello di Milano, investita dalla impugnazione dell’imputata, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha ritenuto la prevalenza delle attenuanti generiche e ha rideterminato la pena in mesi si due di reclusione, confermando nel resto la pronuncia di primo grado.
2. Ricorre per cassazione personalmente l’imputata e deduce erronea applicazione della legge penale, in quanto la condotta tenuta, al massimo, può integrare illecito civilistico o disciplinare, ma non integra certamente il delitto di cui all’articolo 610 cp. Invero il taglio di capelli esercitato su di una persona in stato di incapacità, quale sicuramente era il minore, non può integrare il delitto di violenza privata.
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito – a sezioni unite – che non integra il predetto reato, né quello di lesioni, la condotta di un medico che abbia effettuato su di un soggetto anestetizzato un’operazione chirurgica diversa da quella originariamente concordata, quando peraltro il risultato sia stato del tutto favorevole. In realtà, manca, nel caso appena illustrato, così come in quello per il quale è processo, il requisito della costrizione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e merita rigetto; la ricorrente va condannata alle spese del grado.
2. La sentenza delle sezioni unite, impropriamente citata nel ricorso (si tratta della sentenza numero 2437 e non numero 2347 del 2008) non può essere utilizzata come supporto argomentativo da parte della ricorrente. Invero le sezioni unite ebbero ad affermare che non integra il reato di lesione personale, né quello di violenza privata, la condotta del medico che sottoponga il paziente ad un trattamento chirurgico diverso da quello in relazione al quale era stato prestato il consenso informato, nel caso in cui l’intervento, eseguito nel rispetto dei protocolli e delle leges artis, si sia concluso con esito fausto, essendo da esso derivato un apprezzabile miglioramento delle condizioni di salute del paziente, in riferimento anche alle eventuali alternative ipotizzabili e senza che vi fossero indicazioni contrarie da parte dello stesso (ric. …, RV 241752).
2.1. Si tratta, ad evidenza, di fattispecie del tutto diversa. Innanzitutto, nella sentenza delle S.U., si fa riferimento a precisi protocolli da seguire e alla scrupolosa osservanza delle leges artis (circostanze che, nel caso di specie, ovviamente non ricorrono, né potevano ricorrere); in secondo luogo, perché vi è riferimento all’esito fausto della iniziativa che il sanitario ha dovuto assumere. é/ Il transeunte stato di incoscienza del paziente anestetizzato, d’altra parte, non può minimamente essere accostato con il permanente stato d’incapacità del soggetto affetto da autismo. È da aggiungere che, nel caso della operazione chirurgica, come si legge nella sentenza del supremo consesso, non vi furono (preventive) indicazioni contrarie da parte del paziente, che aveva prestato il consenso per una operazione, ma non lo aveva ZZZ (preventivamente, appunto) negato per altro intervento, giudicato necessario dal chirurgo mentre l’ammalato era in stato di incoscienza; laddove, nel caso di specie, la madre del minore aveva assunto l’impegno di far tagliare – in futuro – i capelli al figlio, con ciò implicitamente (ma inequivocabilmente) negando il suo consenso ad eventuali iniziative improprie di chicchessia.
2.2. Nel caso in esame, ovviamente, la violenza è consistita nell’approfittamento dello stato di soggezione e di incapacità e nell’aver voluto ignorare il ricordato, implicito dissenso della madre del bambino, la quale – come premesso -aveva certamente concordato sulla necessità del taglio dei capelli del figlio, ma si era riservata di attuare o far effettuare tale operazione nel momento più propizio e con gli accorgimenti più opportuni, per non turbare il delicato equilibrio psichico del minore.
2.3. Diversamente ragionando, si dovrebbe giungere alla paradossale conclusione che, nei confronti di una persona in stato di incapacità, un soggetto – e per di più un soggetto rivestente una particolare posizione di garanzia (quale è certamente l’insegnante di sostegno) – possa assumere iniziative ad libitum poiché l’handicappato non è in grado di esprimere una sua volontà e/o di opporsi alla volontà altrui.
2.4. Si deve dunque affermare che, nei confronti di un soggetto incapace o anche solo parzialmente capace, ben può verificarsi una situazione di costrizione nel momento in cui l’agente, proprio approfittando dello stato di soggezione psicologica o di incapacità/incoscienza della vittima, assuma – di sua iniziativa, senza autorizzazione alcuna e senza rispettare alcun previsto protocollo operativo – iniziative direttamente incidenti nella sfera fisica, ovvero psichica del soggetto passivo.
3. Ricorrono i presupposti in base ai quali, ai sensi del d. I.svo 196/2003, deve disporsi il cosiddetto oscuramento dei dati.
PQM
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento; dispone che, in caso di diffusione della presente sentenza, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.
Così deciso in Roma, in data 10 febbraio dell’anno 2015.